Scoperto un circuito rapido della sazietà regolato da αMSH

 

 

ROBERTO COLONNA & LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 26 novembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE/AGGIORNAMENTO]

 

Le nozioni di fisiologia di oltre mezzo secolo fa, che pur consentivano di comprendere la perfetta regolazione omeostatica del bilancio energetico, non erano sufficienti per spiegare la rapidità e l’efficienza dei meccanismi della fame e della sazietà. Non sono stati pochi i ricercatori affascinati dalla perfezione della regolazione del bilancio energetico nei mammiferi, evidenziata  dall’assenza di obesità negli animali che vivono in condizioni naturali con buona disponibilità di fonti alimentari.

La sensazione di fame nasce dall’interazione tra i segnali provenienti dai chemorecettori ipotalamici, che rispondono ad una varietà di molecole del sangue, e i segnali provenienti dall’intestino, che indicano la presenza o l’assenza di cibo. La fame nell’animale ha il ruolo insostituibile di determinare il comportamento che assicura l’assunzione degli alimenti necessari a soddisfare i bisogni metabolici ed energetici alla base delle funzioni vitali dell’organismo[1].

Gli studi pionieristici sulla regolazione dell’omeostasi alimentare si concentrarono sulla rilevazione da parte dell’ipotalamo dei tassi ematici del glucosio circolante (glucostato ipotalamico) e sugli effetti delle lesioni sperimentali dei nuclei ipotalamico laterale e perifornicale, da un canto, e del nucleo ventromediale, dall’altro. I primi due nuclei furono considerati centri della fame, perché la loro lesione aboliva la sensazione e conduceva a magrezza patologica, mentre il nucleo ventromediale fu ritenuto un centro della sazietà, perché mancando la sua funzione gli animali diventavano obesi.

Ai ricercatori in questo periodo era chiaro il ruolo del sistema nervoso nel controllo della fame e della sete e, in particolare, nella decisione di porre in esecuzione programmi di azione somatomotoria a partire da informazioni che giungevano dalla principale struttura di controllo neurovegetativo del cervello, ossia l’ipotalamo. Al contrario, non si concepiva un nesso diretto fra cervello e tessuto adiposo del corpo; infatti, ciò che atteneva ai depositi energetici dei tessuti periferici non si riteneva sotto il controllo nervoso ed afferiva, come oggetto di indagine, ad altre branche della ricerca, distinte e distanti dalla neurofisiologia, quali quelle impegnate nello studio del metabolismo energetico in rapporto ad obesità, diabete ed altri disturbi di interesse endocrinologico. Non si immaginava che il cervello monitorasse lo stato del grasso di tutto il corpo, cioè del deposito di energia a lungo termine dell’intero organismo.

Il prosieguo degli studi ha, poco a poco, rivelato un quadro sempre più articolato e complesso, dal quale si poteva evincere una prima importante nozione fisiologica: esiste un sistema di controllo dell’equilibrio energetico di base o a lungo termine, ed un sistema che regola nel breve termine, nell’immediato, il comportamento di assunzione degli alimenti. Solo in epoca recente si sono scoperti i meccanismi dell’interazione di questi due sistemi.

Una svolta importante nel cammino della ricerca sul controllo nervoso del comportamento alimentare si ebbe con gli esperimenti di parabiosi, ma solo molto tempo dopo fu identificato nella leptina il segnale proveniente dagli adipociti che indica al cervello l’eccesso di grasso periferico. La leptina, al pari dell’insulina, riduce l’assunzione di cibo ed aumenta la termogenesi.

Un altro importante progresso è consistito nella scoperta nel nucleo arcuato dell’ipotalamo di due popolazioni fisiologicamente opposte: la prima secerne due molecole di segnalazione anabolica, ovvero il neuropeptide Y e il peptide AgRP; la seconda, due molecole di segnalazione catabolica, ossia l’α-MSH e il trascritto correlato ad amfetamina e cocaina.

L’osservazione sperimentale ha poi rivelato il meccanismo rapido che consente il pronto sviluppo della fame per soddisfare le esigenze energetiche del momento ma, fino ad uno studio che qui presentiamo, non era riuscita ad identificare e descrivere un insieme di cellule nervose o un circuito in grado di determinare rapidamente sazietà sul modello funzionale dei neuroni AgRP che inducono rapidamente la fame. In altri termini, non si conoscevano le basi cellulari e molecolari della risposta rapida di sazietà.

In sintesi, si può dire che la regolazione omeostatica della fame è mediata nel nucleo arcuato da due popolazioni di cellule nervose: i neuroni AgRP che promuovono il bisogno di assunzione di cibo, e i neuroni POMC che determinano lo stato di sazietà.

I neuroni AgRP (da Agouti-related protein) nel nucleo arcuato (ARC) dell’ipotalamo mediale (neuroni ARCAgRP) sono stimolati dal digiuno e, una volta attivati, rapidamente, ossia nel giro di pochi minuti, generano fame. I neuroni ARCPOMC (da pro-oppiomelanocortin) sono considerati il contrappunto fisiologico delle cellule ARCAgRP, perché sono regolati nella maniera opposta e riducono la sensazione di fame. A differenza dei neuroni ARCAgRP, le cellule ARCPOMC sono molto lente nel produrre effetti sulla fame, ossia impiegano molte ore. Sulla questa base era lecito supporre o la mancanza di un circuito rapido della sazietà o di una sua esistenza dipendente da neuroni diversi dalle cellule ARCPOMC, come è stato dimostrato da Henning Fenselau e colleghi.

(Fenselau H., et al., A rapidly acting glutamatergic ARC–PVH satiety circuit postsynaptically regulated by α-MSH. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4442, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Division of Endocrinology, Diabetes and Metabolism, Department of Medicine, Beth Israel Deaconess Medical Center, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts (USA); Program in Neuroscience, Harvard Medical School, Boston, Massachusetts (USA).

Un frequente ed efficace artificio didattico per illustrare il ruolo energetico di glucosio, glicogeno e lipidi di deposito, impiega un linguaggio figurato esprimente una metafora economica: il glucosio è come il denaro di uso immediato, che portiamo con noi; il glicogeno epatico equivale alle banconote che prendiamo dal cassetto quando il portafogli si svuota; infine, i lipidi accumulati nelle cellule adipose corrispondono ai depositi bancari. Si può dire che l’epoca contemporanea della ricerca in questo campo abbia avuto inizio quando i ricercatori si sono posti l’obiettivo di verificare se e come il cervello controlla i depositi di energia in forma di titoli lipidici di credito a lunga scadenza presso la banca del tessuto adiposo, e poi in che modo le informazioni originate da tale controllo si integrino con quelle dei processi che nell’immediato generano fame e sazietà.

Come accennato in precedenza, gli esperimenti di parabiosi hanno consentito di stabilire che il controllo del cervello sullo stato del tessuto adiposo avviene grazie ad un segnale umorale, poi identificato in una specifica molecola. In pratica, venivano uniti i sistemi circolatori di coppie di topi, l’uno portatore nel gene chiamato obesity (ob) di una mutazione omozigotica recessiva che causa obesità patologica ed ipotermia, l’altro normale. Il collegamento chirurgico parabiotico normalizzava il peso corporeo e la temperatura del topo mutante. Si comprese che il topo mutante mancava di un segnale proveniente dai depositi di grasso che produce un controllo a feedback sulla quantità di cibo da assumere ed un controllo a feed-forward sul dispendio energetico.

Anche i topi con una mutazione omozigotica del gene del diabete (db) sono obesi. In questo caso, l’esperimento parabiotico di collegamento con un topo sano, non solo non riusciva a correggere i difetti patologici del membro ammalato della coppia parabiotica, ma causava emaciazione e morte del povero topolino sano. A differenza del topo ob/ob, il roditore db/db produce il segnale circolante, ma manca di un recettore funzionale. Si comprese che tale segnale è elevato nel topo obeso db/db, al punto da causare una riduzione di assunzione di cibo ed un aumento del dispendio energetico tale da risultare fatale al povero compagno parabiotico[2].

Circa 25 anni dopo i primi studi di parabiosi, il segnale circolante, il recettore mutato e i loro geni furono identificati. Jeffrey Friedman e colleghi isolarono un ormone peptidico cui fu dato il nome di leptina (dal greco leptos che vuol dire snello, sottile) per il suo ruolo nell’accrescere il consumo di energia e ridurre l’assunzione di alimenti. La molecola, prodotta prevalentemente dagli adipociti in quantità direttamente proporzionali al grasso immagazzinato, agisce attraverso il legame a recettori della superfamiglia delle citochine alla periferia e nel cervello, dove giunge grazie al trasporto attraverso la barriera emato-encefalica. In condizioni fisiologiche, nelle persone con un peso nella norma, la leptina contribuisce alla riduzione dell’assunzione di cibo e all’aumento del consumo energetico, della lipolisi e della termogenesi. Nella maggior parte delle persone obese si rilevano alti tassi di leptina, come se il loro organismo fosse diventato insensibile o resistente all’azione del suo segnale. Esiste una rara condizione clinica dovuta ad una mutazione del gene ob che causa una vera e propria mancanza di leptina: tali persone, affette da obesità patologica con ipotermia, possono essere curate efficacemente con la somministrazione di leptina che progressivamente riduce il peso corporeo e normalizza la temperatura.

L’insulina, prodotta dalle cellule β delle isole di Langerhans del pancreas, presenta una correlazione positiva con la massa grassa e, come la leptina, riduce l’assunzione di alimenti e accresce la termogenesi. È stato osservato, provato sperimentalmente e confermato che, durante il digiuno, i livelli di leptina e insulina si riducono prima che si abbia la riduzione del grasso dei depositi, in tal modo le scorte adipose sono rapidamente reintegrate quando si riprende a mangiare.

La leptina e l’insulina circolanti si legano nel cervello ai recettori delle due popolazioni neuroniche prima menzionate che, come già ricordato, hanno sede nella formazione grigia dell’ipotalamo mediale che prende il nome di nucleo arcuato. Le due popolazioni rispondono in maniera opposta ai due ormoni peptidici ed hanno influenze opposte sull’equilibrio energetico.

L’antagonismo fra segnali anabolici e catabolici provenienti dal nucleo arcuato dell’ipotalamo è illustrato dall’azione del peptide AgRP che è fisiologicamente un antagonista endogeno dei recettori della melanocortina MC3 e MC4. L’agonista naturale di questi recettori è l’α-MSH secreto dagli specifici neuroni del nucleo arcuato quando l’organismo è in stato catabolico. L’AgRP blocca l’effetto dell’ormone di ridurre l’assunzione di alimenti, aumentare il dispendio energetico e ridurre l’immagazzinamento di grasso. L’iniezione del neuropeptide Y nell’ipotalamo innesca l’attività alimentare, promuove la lipogenesi e riduce il comportamento che consuma energia. Così, il rilascio di entrambi gli ormoni peptidici produce un feedback anabolico, effetti di feed-forward che favoriscono l’aumento di peso, mentre sopprimono la segnalazione nella via catabolica antagonistica. Proiezioni di neuroni del nucleo arcuato alle regioni paraventricolari e laterali dell’ipotalamo trasmettono la segnalazione veicolata da leptina e insulina circolanti[3].

Si spera che questa esposizione sintetica possa aiutare anche coloro che non seguono questo specifico campo di studi ad apprezzare i risultati ottenuti da Fenselau e colleghi. Come si è già accennato, i ricercatori, considerando la lentezza dei neuroni che rilasciano POMC nel ridurre la fame, rispetto alla rapidità dei neuroni che mediante AgRP la producono, hanno desunto che una via rapida per la sazietà nel nucleo arcuato, come quella per la fame, deve esistere ma dipende da cellule diverse dalle ARCPOMC.

La manipolazione chimica ed optogenetica ha consentito a Fenselau e colleghi di identificare nel nucleo arcuato dell’ipotalamo mediale una popolazione neuronica eccitatoria, che esprime il recettore dell’ossitocina e segnala mediante il rilascio di glutammato, responsabile di induzione rapida della sazietà. Infatti, sia la stimolazione optogenetica sia quella chimica di tali cellule, hanno determinato immediatamente il comportamento dell’animale sazio.

I ricercatori hanno osservato e descritto proiezioni di questi neuroni glutammatergici  che convergono sinapticamente con le proiezioni inibitorie GABAergiche ARCAgRP sui neuroni della sazietà esprimenti il recettore 4 per la melanocortina, ossia MC4R, nel nucleo paraventricolare dell’ipotalamo: neuroni PVHMC4R.

La sperimentazione ha poi dimostrato che l’α-MSH, l’agonista dei recettori MC4R derivato dai neuroni ARCPOMC, potenzia la trasmissione attraverso le sinapsi della via che va dai neuroni ARCGlutammatergici ai neuroni PVHMC4R.

L’identificazione di questo circuito della sazietà ARC – PVH, e la sua modulazione da parte dell’α-MSH aggiunge un importante elemento di conoscenza alle basi neurobiologiche della fame e della sazietà.

 

Gli autori della nota, che ringraziano il presidente Perrella per aver messo a disposizione i suoi scritti sull’argomento e la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, invitano alla lettura di recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna & Lorenzo L. Borgia

BM&L-26 novembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nella realtà umana la disponibilità di cibo e la cultura dell’alimentazione, intesa in senso antropologico, hanno contribuito allo sviluppo dell’appetito, che ha in gran parte sostituito l’istinto biologico della fame, rispetto al quale è molto più dipendente dal gusto che dai bisogni energetici dell’organismo.

[2] Per inciso, gli autori della nota prendono le distanze dall’etica di questi esperimenti che si sono rivelati crudeli per gli animali di laboratorio. Più in generale, la maggioranza dei membri della nostra società scientifica auspica l’estensione degli studi su sistemi cellulari e molecolari in vitro, restringendo la sperimentazione in vivo ai casi di assoluta insostituibilità, in condizioni che non risultino crudelmente dannose o letali per l’animale.

[3] Cfr. Shizgal P. B. & Hyman S. E. Homeostasis, Motivation and Addictive States, pp. 1095-1115, in Principles of Neural Sciences (Kandel, Schwartz, Jessel, Siegelbaum, Hudspeth) fifth edition, McGraw-Hill, 2013.